Il perdurare d’un epoca senza regole

Mi sono imbattuto in un articolo di Garibolbo Marussi, publicato in Italia nel Giugno 1965 sul perriodico “LE ARTI” intitolaro “Il Novecento”, al suo interno ho trovato riportata una confessione fatta da Picasso alla Françoise Gilot che qui di seguito vi riporto: “Noi oggi ci troviamo nella sfortunata condizione di non avere né un ordine, né un canone che consentano di sottoporre a delle regole precise … lo facevano i Greci e gli Egiziani. I loro canoni erano inflessibili, ma quando la pittura ebbe perduto ogni rapporto con la tradizione e quando l’Immpressionismo consenti a ogni pittore di fare quello che egli voleva, questa è stata la fine della pittura. Quando si stabili che contavano solo le emozioni, e che ciascuno poteva ricreare la pittura come egli la intendeva, partendo da qualsiasi base, allora non si ebbe più pittura.
Restarono solo degli individui.
A partire da Vang Gogh siamo tutti degli autodidatti … e ciascuno di noi si trova nelle necessità di ricreare un linguaggio … dalla A alla Z. Da un certo punto di vista può essere una liberazione, ma costituisce al tempo stesso una limitazione terribile, perchè quando l’artista incomincia a esprimere la propria personalità, ciò che guadagna in libertà, lo perde in ordine, è in linea di principio, è tremendo non potersi affidare alle regole …”.
Queste parole, tanto mi hanno aiutato a comprendere alcuni stati d’animo tanto mi hanno colpito per la loro attualità, se le avessi lette senza conoscrerne l’autore sarei stato portato a credere che fossero state pronunciate da un mio contemporaneo.
Come mai a distanza di quasi un secolo ci si ritrova con gli stessi interrogativi?
L’unica risposta che al momento riesco a dare trova come causa principale gli enormi cambiamenti o se lo trovate più corretto, nel progresso che in pochi decenni a portato questa nostra socità a un benessere materiale a cui non era abituata. Certamento lo si sognava come oggi si sogna il 13 al totocalcio cosi da credersi sistemati per tutta la vita, per poi accorgersi che non bastano i soldi, i beni materiali, anzi essi diventano quasi superflui essendo esterni all’uomo e qui e solo qui spostiamo lo sguardo verso il nostro io accorgendoci che abbiamo bisogno dell’uomo con le sue capacità d’amare e di provare emozioni.

“Pittura lingua morta?”, “Disciplina rugosa? obsoleta?”

Navigando in internet mi hanno colpito gl’interrogativi che ho riportato nel titolo, dopo aver letto le varie risposte date da critici, direttori artistici, artisti o semplici amatori che siano, ho cercato una mia risposta che mi potesse dire se continuare a dipingere o cambiare, quindi non voglio dare una risposta del tipo Tizio a detto, Caio a fatto, vorrei dirvi perché continuo a dipingere.
Partendo dal presupposto che sino a pochi decenni fa nessuno si poneva questo tipo di domande, perché oggi si? Cos’è cambiato? E’ cambiato lo stato di benessere che possediamo, se ciò è da considerarsi positivo in quanto ci concede lussi che sino a pochissime generazioni fa erano inimmaginabili, porta con se anche la faccia opposta della medaglia che trovo essere la capacità di saper scegliere. La generazione dei nostri nonni ed in molti casi anche dei nostri padri, non aveva a disposizione, come lo è invece oggi, molte possibilità di scelta. In tutti i campi oggi ne abbiamo la possibilità, dallo svago allo studio all’attività lavorativa e via di questo passo, ma questa possibilità possiede anche una faccia opposta (come tutte le monete), che è l’obbligo di dover scegliere, obbligo a cui nessuno si può sottrarre, visto che l’uomo non possiede il potere dell’ubiquità.
Mio nonno impiegava un intera giornata per andare da Mandello a Lecco che distano circa 20 Km tra andata e ritorno, oggi in una giornata posso cambiare continente, posso starmene seduto in casa a parlare con persone che si trovano in una qualsiasi parte del globo, addirittura vederle; cosa faccio? Vado in Inghilterra a bere il caffè con Giovanni o me ne sto tranquillo a casa a vedermi la TV? Mi iscrivo al conservatorio o ad architettura oppure non studio più e vado a fare l’operaio?
Tutti interrogativi che oggi ci dobbiamo porre ma che purtroppo le generazioni venute prima di noi non ci hanno preparati ad affrontare, non ci hanno preparati semplicemente perché loro stessi non hanno avuto il tempo di capire il progresso (di vivere il loro tempo), tutto è avvenuto con troppa rapidità; dobbiamo avere la pazienza e la voglia d’imparare e quindi di crescere. Stiamo raggiungendo, se già non l’abbiamo raggiunta, una velocità che non ci permette più d’esser padroni di noi stessi e del tempo che viviamo ed oggi s’incomincia a sentire questo stato di malessere, incominciamo a vedere molte persone che vanno a vivere in paesi poveri dove il progresso che sta assillando il vecchio continente non a ancora raggiunto i livelli di quest’ultimo.
Trovo che invece la pittura, la scultura e tutte quelle forme artistiche che richiedono tempo (sia da parte dell’artista che da parte del fruitore), ed in oltre che abbiano un rapporto diretto, fisico, corporale tra l’opera ed il suo creatore; contengono quel giusto rapporto tra lo scorrere della vita interna di un individuo ed il mondo che lo circonda; il tempo dirà ciò che sono stato.
Da quest’ultima affermazione non voglio si pensi che basti prendere un pennello o uno scalpello e qualsiasi cosa attraverso essi si produca sia “un opera d’arte”, come non credo che le nuove forme d’arte che a cavallo del secolo scorso e l’inizio di questo siano da rigettare solo perché frutto di un tempo senza tempo, vorrei solamente che ci si rendesse conto che la macchina con la sua velocità ci sta rendendo suoi servitori cosi d’allontanarci da noi stessi.
La macchina da il massimo di se attraverso la velocità.
Comprereste per la vostra azienda una macchina da migliaia di euro atta a bordare pannelli di truciolato quando l’azienda lavora per il 99% con legno massello e solo occasionalmente si produce un prodotto che richiede l’utilizzo di tale macchinario?
Credo proprio di no, eppure oggi si vuole spingere la produzione a livelli sempre più estremi non facendo altro che il bene delle macchine e non dell’uomo, egli dovrebbe aver creato la macchina per servirsene e non per divenirne servitore.
Dico questo perché credo che in molte forme d’arte che si sono venute a creare, vedi video istallazioni, performance come nella stessa pittura viene chiesta, sia una rapidità d’esecuzione, creazione che di fruizione cosi da poter tenere il passo della macchina.
L’uomo ha una sua velocità e necessità di un suo tempo atto a sedimentare le impressioni. Tempo che non può essere di molto riducibile, sicuramente non hai tempi di una macchina.
Sono partito da pormi un interrogativo “La pittura è lingua morta?” per giungere a pormi e porvi un altro interrogativo: “La pittura è lingua morta oppure noi non siamo più padroni di noi stessi e guidati dalla macchina vogliamo uccidere tutto ciò che comporta contemplazione (il tempo dell’uomo), dolore e sacrificio?
Diverso tempo fa lessi una definizioni di arte che più o meno fa così: “Un artista è colui che esprime il proprio tempo”.
Ne sono rimasto colpito, “Se le cose stanno cosi non posso ripetere ciò che è già stato fatto, sarei un copista e non certo un creativo, nello stesso tempo non posso prendere a secchiellate la tela giustificandomi che ciò è l’espressione della velocità della mia epoca, non farei altro che produrre molti lavori come farebbe una macchina, allora cosa fare? Sicuramente devo esprimere il mio tempo ma cosa significa esprimere il mio tempo?
Credo che esprimere il mio tempo sia da intendere che l’immagine assuma forma, materia e concetti del mio tempo e che porti con sé quel idea di bello che le opere di tutti quei grandi artisti che mi hanno preceduto posseggono.
Oltre a quanto detto sin ora vorrei aggiungere che l’emozioni che un immagine mi genera non stanno racchiuse solo nel concetto che essa esprime ma anche nella materia e nella gestualità che in essa vi è racchiusa, elementi che certamente la pittura possiede.