Articolo su L’Asolano – anno XIV . N° 1 – 2019

Teatro di Asola

Teatro di Asola

 

Chiesa di Asola

Chiesa di Asola

Ringrazio l’avvocato e scrittore Emiliano Caiani per questo atto di stima e fiducia.

ASOLA NELL’ARTE DI Mauro Zucchi
di Emiliano Caiani

Quali edifici rimangono facilmente impressi nella mente di chi visita per la prima volta la città di Asola? Le risposte sono di sicuro molteplici,data la varietà di importanti fabbricati ubicati nel suo territorio.
Quelli che più di ogni altro hanno colpito il mio occhio “monzese” sono il Teatro e la Cattedrale di Sant’Andrea. Ho conosciuto Asola alcuni anni fa per motivi sentimentali, ed ormai posso dire di essere diventato un asolano d’adozione. E’ dunque con questi occhi, diversi da quelli dei residenti, che osservo le cose di Asola.
Il Teatro è chiuso da tempo ma i suoi muri fatiscenti mi raccontano di quando era il cuore pulsante degli asolani amanti del bel canto delle opere e delle operette; che partecipavano ai mitici veglioni di San Giovanni o assistevano alla rassegna canora dell’Ercole d’oro. E’ di questa vita cittadina che mi parla il Teatro e che mi fa sognare La Cattedrale di Sant’Andrea è un esempio di tardo gotico lombardo, di notevoli dimensioni, che si giustificano solo con la storia della antica fortezza veneziana. Mi ha colpito l’austera imponenza dell’edificio ed in particolare quegli strani, interessanti colori delle pareti. Ma all’interno la Cattedrale è una sorpresa; uno scrigno ricco d’arte e di tesori che ti lascia senza parole. Ogni dettaglio ti racconta la storia della Città murata e quella della sua antica nobiltà. Di queste ed altre cose ho parlato a Mauro Zucchi (www.zmauro.it), un noto pittore di Mandello del Lario di cui ho potuto apprezzare le qualità artistiche, oltre che l’umiltà e la generosità personali.Osservando i suoi lavori ero rimasto colpito dalla loro capacità di trasmettere quella certosina ricerca di ciò che l’esterno sa imprime sull’immateriale che alberga in ognuno di noi. Il loro tema dominante è l’uomo nel rapporto con se stesso, con il prossimo e con la natura; un uomo riflessivo, a volte tormentato che nel divenire della vita è sempre alla ricerca di domande e di risposte. Molti dipinti hanno dimensioni rilevanti e davanti a loro ti senti piccolo, quasi indifeso; la loro energia ti attraversa dall’alto in basso e ti ritrovi facilmente spaesato, incredulo, ipnotizzato. In quel momento diventi pienamente conscio di come l’arte sia capace di essere la filosofia dell’animo umano ed eco di forze ed energie interiori.
Le capacità artistiche di Mauro spaziano dall’acquarello all’acrilico, dal gessetto alla matita. Il tratto è naturale e sicuro, mai casuale e mai banale; le sfumature e i colori vengono scelti con la stessa attenzione con cui un pianista collega in successione tutte le note per una nuova melodia. E così gli ho espresso il desiderio di avere due suoi quadri che interpretassero, assecondando la sua sensibilità, il Teatro e la Cattedrale di Asola. Gli fornii alcune fotografie e gli lasciai la piena libertà di dipingere ciò che non aveva mai visto. Mauro accettò subito la sfida artistica e, osservate diverse fotografie attuali e del passato, iniziò a trasformare le informazioni in sensazioni ed emozioni e poi in scintilla creativa.
Il primo dipinto è in stile metafisico figurativo e ritrae il Teatro nel presente e nel suo futuro prossimo. Le forme solenni e neoclassiche delle facciate, ingrigite e opacizzate dal trascorrere del tempo, emanano allo sguardo una profonda tristezza, una sensazione di solitudine ed abbandono; proprio come l’uomo che si intravvede accasciato a terra mentre piange tenendo tra le mani un lembo stracciato del tendone. Dalle finestre non riflette il dorato del sole e la mente non può oltrepassare le mura immergendosi nei fasti del passato quando, illuminato riccamente, il Teatro presentava il più lieto aspetto che si poteva desiderare.
Nulla è però perduto. I necessari e tanto desiderati lavori di restauro sono cominciati e presto verrà riaperto il sipario: avrà così inizio una nuova stagione teatrale. Verrà restaurata la facciata e verranno rifatti gli interni. Allora, come in passato, il pubblico ritornerà ad affollare il teatro, plaudente e smagliante. Mi sembra già di udire la voce solenne di un oratore in mezzo alla scena: “Ancora ieri la parola di Cesare avrebbe potuto levarsi contro il mondo; ora egli giace lì e nessuno è tanto umile da inchinarsi a rendergli onore. Se avete lacrime, preparatevi a versarle ora”.
Il secondo dipinto è realizzato in stile geometrico e raffigura la Cattedrale nei suoi radiosi colori giallo e arancio. L’architettura tardogotica lombarda, imponente e grandiosa, si spezza in plurimi frammenti verticali riproducendo, nella bidimensionalità dello sfondo, le quattro facciate. Le lancette dell’orologio cinquecentesco scandiscono il trascorrere delle ore notturne e diurne. L’ atmosfera è immobile quasi surreale, non ci sono ombre, non ci sono passanti: il compendio della semplicità; sicuramente è un giorno d’estate vista la luce intensa sui palazzi laterali. Si intravvede un accenno di Via della Libertà e di Via Cesare Battisti. I portici a sinistra e il Municipio sulla destra posizionano l’osservatore al centro della Piazza XX Settembre, al centro della nostra città.
La sintesi di tutto ciò è: “Asola nell’arte”.

Recensione su ExpoArt Nr. 28

MAURO ZUCCHI
Artista è solo chi sa fare della soluzione un enigma (Karl Kraus)
Nasce a Lecco il 25/04/ 65, oggi vive e lavora a Mandello del Lario (LC) dopo il diploma di geometra è seguito dal M° Massimo Bollani e segue numerosi corsi di specializzazione, nell’89 si trasferisce a Vicenza per lavorare nel settore dell’arredamento e design, lavora in passato anche per una rinomata azienda canturina la cui esperienza stimola ancor oggi la sua creatività. L’arte oltre ad essere per lui un rifugio è un linguaggio diretto per comunicare disagi di una società corrotta e in perdita di valori con personale coraggio di denuncia . Le sue opere sono ricche di simbologie in cui non asseconda mai falsi compiacimenti di materialismo effimero, vicino all’arte contemporanea, propenso verso gli artisti tra l’800 e il ‘900, quali Van Gogh, e di spirito introspettivo e sensibile michelangiolesco (come nei moti arditi dei panneggi, che in lui celano sempre qualcosa) e nella monumentale consapevolezza torsione anatomica dei corpi, o all’uso drammatico della luce e delle ombre caravaggesche. Tra narrazioni tortuose ed enigmatiche, scruta negli antri perduti di se stessi e ai loro ritrovamenti, l’ opera al primo sguardo surreale o visionaria è intrisa di realtà illuminata e sintetica. Pretesti figurativi che all’apparenza appaiono in tutta la loro crudezza, fungono da pensieri e riflessioni sulla natura umana, l’uomo rappresentato nel suo aspetto bestiale, personaggi che ergono dai muri, da quelle parti corrose create dall’ambiente stesso che li inghiotte, dove la natura non ha accesso, dove neanche un filo di erba squarcia il pavimento. Il pennello si muove su cromatismi, ricchi di contrasti cupi e pesanti, con taglienti toni chiari, irrompenti di gelo come la neve. Immagini confuse, “create da noi stessi” dove ospiti inattesi, sono complici del fantastico e del reale, “tra ciò che vuol essere compreso e ciò che vuol essere riconosciuto”. Sembianze di “stati d’animo”, l’inconscio utilizza il transfert figurativo introspettivo, con stanze buie e usci abbagliati, negli sbiaditi eìdolon (spettri che ritornano) e eikòn (che ne raffigurano il terrore). In “Casa di Bambola”, “si nega la soglia o la si oltrepassa!”. “Zone d’ombra” interpretano i rapporti umani, dalle grandi comunità sino alle relazioni più intime di coppia, la presenza sembra guardare dritta verso noi trascinandoci a divenire autori delle nostre stesse paure, con un interruttore visibile, che può essere azionato dalla scelta se guardare in faccia la verità o accettare la menzogna! Intellegibili figure, da mettere a fuoco, inquietanti sdoppiamenti: tra uomo e mondo, io e tu, spirito e materia, moltiplicazione della personalità e annullamento dei confini tra soggetto e oggetto, metamorfosi tra tempo e spazio. Ermetismo intimistico che l’osservatore può connettere al di là dei significati attribuiti inconsciamente o volutamente dall’artista e ritrovare le proprie identità o ruoli. Come su di un palcoscenico, illuminato da un occhio di bue sul personaggio, la quarta parete si scoperchia e lascia spazio alla semiotica dell’invisibile. L’esistenza che si consuma all’interno della vita come dentro delle stanze, in spazi di fantasmi leggibili dell’immaginario tellurico, del sub-suolo e caverne dai simbolismi platonici che proiettano ombre del mondo sensibile all’apparenza, che l’anima deve seguire per raggiungere il bene e il vero. Luoghi dove forse l’uomo deve tornare in una sorta di regressus ad uterum, per salvare se e gli altri e poter essere libero o per esplorare se stessi che ci misura con “l’altro” in termini anche lacaniani. “Gabbie “in cui donne ravvisano da un unico volto molteplici maschere, o in “Giustizia” opera in cui una figura antropomorfa si staglia con un coltello verso “l’oscurità” di spalle sulla poltrona, foriera di tensioni, figure che hanno dell’anonimo del singolo ma possono appartenere a chiunque e al tutto. Riferimenti “imprigionati nello spazio oculare” (Van Gogh) che rivelano più della parola e vanno lette “oltre” l’immagine stessa, in un turbine di movimento viene mostrato con violenza per risvegliare l’indifferenza, un alfabeto emotivo contro le ingiustizie alla ricerca della bellezza. Anche il “Ring” è il luogo dei conflitti, il “doppio” che l’artista vive nel momento in cui l’opera assume due facce se mostrate all’ osservatore, lotta che ci misura con noi stessi, il suono del gong può essere seguito da un cambiamento, un duello di pregnanza simbolica, tra potere/amore/dolore, conflitto insito nell’essere umano. Per gli orientali è un mezzo di conoscenza quel quadrato che porta verso se stessi, in cui si affronta la vita, senza retrocedere consapevoli di ciò a cui si va incontro. Lì non vi sono traditori, il campione di Muhammad Alì, va verso qualcosa che appartiene al suo profondo, è locus dell’onore e del sogno in un unico desiderio lì dove non vi sono traditori e dove “…tanto le mani non possono colpire ciò che gli occhi non possono vedere”.
Dott.ssa Francesca Mezzatesta
(Critico d’Arte e spettacolo)