Articolo del 18/Settembre/2016 su Alpi Fashion Magazine

Il Viaggio di Mauro Zucchi

L’artista Mauro Zucchi è nato a Lecco cinquant’anni fa, inizialmente non intraprende gli studi artistici, ma segue un classico percorso scolastico diplomandosi come Geometra; dopo aver interrotto gli studi superiori si trasferisce a Vicenza, dove lavora nel campo dell’arredamento. È subito dopo questa esperienza che esplode l’esigenza di un nuovo rapporto con il mondo, cerca nell’intimità dell’espressione artistica, uno spazio in cui poter vivere, dando sfogo alla creatività come autodidatta, ma poi si rende conto che la tecnica pittorica è fondamentale per scoprire e sperimentare, per misurarsi con se stessi ed evolvere. Proprio in virtù di questa nuova consapevolezza, vissuta quasi tragicamente come atto di dissociazione dal mondo esterno, decide di isolarsi sempre più nella ricerca di un linguaggio espressivo in grado di testimoniare la propria personalità, ignorando le etichette imposte dalla vita sociale. Dal 2008, con enorme fatica, ma spinto da un sempre più pressante disagio, che le comporta lo stare in una società cosi corrotta nel profondo del suo essere, non ha potuto far altro che dedicarsi completamente allo studio e all’arte ed in particolar modo alla pittura, cosi ha iniziato il suo viaggio; viaggio inteso in senso metaforico, ovvero come itinerario verso la conoscenza di se stessi addentrandosi nella profondità interiore per scoprire chi siamo e a quale vocazione siamo chiamati, un invito ad intraprendere la strada che porta alla piena realizzazione di se stessi cercando di superare ogni barriera umana che provoca egoismo, solitudine, indifferenza e intolleranza, in cui è possibile smarrirsi. Comunque il viaggio opera in Mauro una trasformazione interna che lo porta a vivere nella libertà e nell’autenticità di essere pienamente se stesso.

Per conoscere meglio Mauro Zucchi, capire la sua arte e valorizzare le sue opere pubblichiamo integralmente alcune sue  considerazioni e riflessioni: Appunti di viaggio Settembre 2016.

In quest’ultimo periodo ho la percezione che il disordine, la confusione si stia trasformando in un caos ordinato.

Sino ad oggi non ho voluto lasciarmi trasportare dalla sperimentazione nel campo pittorico come non ho prestato molta attenzione ad altre forme d’espressione come installazioni, performance o altre forme espressive che oggi sembrano ricevere maggiore attenzione della pittura su tela. Dipingere non l’ho mai sentito semplicemente come il tracciare linee o gettare del colore su di un supporto; non so ben definire cosa sia per me la pittura e l’arte nel suo complesso. L’unica cosa a me certa è l’enorme difficoltà che ho nell’assoggettarmi alle regole del mondo che mi circonda, questa difficoltà mi ha portato ad incontrare la pittura, pittura che mi ha guidato verso l’arte.

Cos’è l’arte? Domanda che mi son sempre posto e che continuerò a pormi in quanto credo che il suo significato o ciò che rappresenta sia sempre in sviluppo, in la da venire col mutare dell’uomo e di tutto ciò che questo mutare comporta; potrebbe questa essere una mia parziale risposta. Questa domanda, per molti semplice e banale, per me è stata un punto di partenza, non ha fatto altro che innescare tutta una serie di interrogativi: Cosa dipingere? Come dipingere? Perché dipingere? e molte altre domande che non fanno altro che portarmi sempre con più convinzione nelle profondità di un sentiero che è solo mio e nello stesso tempo a me stesso sconosciuto. L’istinto è un elemento che mi guida, prima ne avevo poca consapevolezza e lui  decideva per me; oggi è una mia precisa volontà che siano l’istinto, la sensibilità e tutto ciò che in me vive a guidarmi, ma con una notevole differenza oggi quell’istinto è qualcosa che coltivo e forse in un qualche modo a mia insaputa cerco di guidare.

Gli aspetti tecnici non sono stati inizialmente da me ignorati perché ritenuti non importanti; tutt’altro! Gli aspetti tecnici hanno la loro fondamentale importanza ma, come spesso capita, non tutti i percorsi hanno un aspetto lineare e continuo. Non essendomi mai interessato dell’arte sino a 35 anni, mi son detto sin da subito che non avrei potuto e tanto meno avrei voluto, visto il mio punto di partenza, seguire un classico percorso didattico. Il disegno lo conoscevo, se non nei suoi aspetti artistici sicuramente in quelli tecnici, ho deciso di frequentare il Maestro Massimo Bollani per acquisire le basi della pittura ad olio. Ho frequentato il maestro per un paio d’anni dove ho sì ricevuto le basi, ma niente o poco di più delle basi e durante questo periodo sentivo crescere in me che li qualcosa mi mancava; non sapevo cosa mi mancasse, ma avevo il netto sentore che volevo altro, non sapevo cosa fosse questo altro, ne sentivo solo la necessità. Da allora sino a un paio di anni fa mi sono molto rinchiuso su me stesso cercando quell’altro che non sapevo cosa fosse. Tutto questo non sta a significare che la tecnica ha per me poca importanza, mi ripeto; tutt’altro. La tecnica è importante e ne dovrò acquisire sempre più, ora che incomincio a comprendermi posso incominciare a pensare maggiormente a quegli aspetti puramente tecnici che mi servono al fine che possa esprimermi nella mia totalità.

Durante questi anni ho letto molto, forse anche molto più di quanto abbia dipinto. Questo percorso mi ha portato a trasportare sulla tela i miei interrogativi, gli interrogativi di una persona che cerca di conoscersi cosi da potersi coltivare. Questo guardarmi dentro non esclude il mio prossimo, ma anzi è proprio grazie a lui che posso sondare sin nelle profondità della mia persona a me stesso sconosciute. Lungo questo sentiero ho compreso di essere interessato al mio prossimo, all’uomo, in quanto uomo, penso di poter affermare che i temi che oggi dominano le mie opere riguardino l’uomo nel suo esser uomo.

L’arte ha per me uno scopo, un suo perché, tra questi l’utilità di aiutarmi a comprendere.

La pittura è ancor oggi il mezzo, l’oggetto, la forma che prediligo per comunicare anche se, incomincio ad aver pensieri ed idee che si allontanano, l’opera Tabù ne è un esempio. Della pittura amo il colore, il disegno e forse ancor di più è quell’interazione che ho col mezzo pittorico, ha quell’aspetto carnale e non cosi esclusivamente intellettuale come alcune forme d’arte contemporanee, comunque da quanto ho detto sopra in merito all’arte e al suo divenire, credo che vi siano temi della mia contemporaneità che sono più esprimibili con forme d’arte diversi dalla pittura.

Pubblicato dalla redazione Alpi Fashion Magazine: Antonello Piludu

“Ricordi Corrispondenti”

In nome del danaro,
lavori irrispettosi
Il bagno restaurato
l’idea rubata
l’ignoranza fracassante.
Tutti i ricordi corrispondenti
ad un giorno in quel giorno,
l’oggi è giusto,
echi di diffamazione;
in nome dell’apparire,
denunce troppo grandi,
troppe persone corrispondenti
a quella persona in una persona.
Ritardi inestimabili.

Questa poesia è scritta dall’amico Andrea Tavazzani, poesia che con enorme soddisfazione e gioia ho allegato alla mia opera “Casa di bambola”, ciò di cui l’amico Andrea parla è una chiave di lettura della mia opera che mi affascina o sono solo pensieri che spesso percorrono la mia mente e sollecitano il mio animo, magari entrambe le cose.

Recensione su ExpoArt Nr. 28

MAURO ZUCCHI
Artista è solo chi sa fare della soluzione un enigma (Karl Kraus)
Nasce a Lecco il 25/04/ 65, oggi vive e lavora a Mandello del Lario (LC) dopo il diploma di geometra è seguito dal M° Massimo Bollani e segue numerosi corsi di specializzazione, nell’89 si trasferisce a Vicenza per lavorare nel settore dell’arredamento e design, lavora in passato anche per una rinomata azienda canturina la cui esperienza stimola ancor oggi la sua creatività. L’arte oltre ad essere per lui un rifugio è un linguaggio diretto per comunicare disagi di una società corrotta e in perdita di valori con personale coraggio di denuncia . Le sue opere sono ricche di simbologie in cui non asseconda mai falsi compiacimenti di materialismo effimero, vicino all’arte contemporanea, propenso verso gli artisti tra l’800 e il ‘900, quali Van Gogh, e di spirito introspettivo e sensibile michelangiolesco (come nei moti arditi dei panneggi, che in lui celano sempre qualcosa) e nella monumentale consapevolezza torsione anatomica dei corpi, o all’uso drammatico della luce e delle ombre caravaggesche. Tra narrazioni tortuose ed enigmatiche, scruta negli antri perduti di se stessi e ai loro ritrovamenti, l’ opera al primo sguardo surreale o visionaria è intrisa di realtà illuminata e sintetica. Pretesti figurativi che all’apparenza appaiono in tutta la loro crudezza, fungono da pensieri e riflessioni sulla natura umana, l’uomo rappresentato nel suo aspetto bestiale, personaggi che ergono dai muri, da quelle parti corrose create dall’ambiente stesso che li inghiotte, dove la natura non ha accesso, dove neanche un filo di erba squarcia il pavimento. Il pennello si muove su cromatismi, ricchi di contrasti cupi e pesanti, con taglienti toni chiari, irrompenti di gelo come la neve. Immagini confuse, “create da noi stessi” dove ospiti inattesi, sono complici del fantastico e del reale, “tra ciò che vuol essere compreso e ciò che vuol essere riconosciuto”. Sembianze di “stati d’animo”, l’inconscio utilizza il transfert figurativo introspettivo, con stanze buie e usci abbagliati, negli sbiaditi eìdolon (spettri che ritornano) e eikòn (che ne raffigurano il terrore). In “Casa di Bambola”, “si nega la soglia o la si oltrepassa!”. “Zone d’ombra” interpretano i rapporti umani, dalle grandi comunità sino alle relazioni più intime di coppia, la presenza sembra guardare dritta verso noi trascinandoci a divenire autori delle nostre stesse paure, con un interruttore visibile, che può essere azionato dalla scelta se guardare in faccia la verità o accettare la menzogna! Intellegibili figure, da mettere a fuoco, inquietanti sdoppiamenti: tra uomo e mondo, io e tu, spirito e materia, moltiplicazione della personalità e annullamento dei confini tra soggetto e oggetto, metamorfosi tra tempo e spazio. Ermetismo intimistico che l’osservatore può connettere al di là dei significati attribuiti inconsciamente o volutamente dall’artista e ritrovare le proprie identità o ruoli. Come su di un palcoscenico, illuminato da un occhio di bue sul personaggio, la quarta parete si scoperchia e lascia spazio alla semiotica dell’invisibile. L’esistenza che si consuma all’interno della vita come dentro delle stanze, in spazi di fantasmi leggibili dell’immaginario tellurico, del sub-suolo e caverne dai simbolismi platonici che proiettano ombre del mondo sensibile all’apparenza, che l’anima deve seguire per raggiungere il bene e il vero. Luoghi dove forse l’uomo deve tornare in una sorta di regressus ad uterum, per salvare se e gli altri e poter essere libero o per esplorare se stessi che ci misura con “l’altro” in termini anche lacaniani. “Gabbie “in cui donne ravvisano da un unico volto molteplici maschere, o in “Giustizia” opera in cui una figura antropomorfa si staglia con un coltello verso “l’oscurità” di spalle sulla poltrona, foriera di tensioni, figure che hanno dell’anonimo del singolo ma possono appartenere a chiunque e al tutto. Riferimenti “imprigionati nello spazio oculare” (Van Gogh) che rivelano più della parola e vanno lette “oltre” l’immagine stessa, in un turbine di movimento viene mostrato con violenza per risvegliare l’indifferenza, un alfabeto emotivo contro le ingiustizie alla ricerca della bellezza. Anche il “Ring” è il luogo dei conflitti, il “doppio” che l’artista vive nel momento in cui l’opera assume due facce se mostrate all’ osservatore, lotta che ci misura con noi stessi, il suono del gong può essere seguito da un cambiamento, un duello di pregnanza simbolica, tra potere/amore/dolore, conflitto insito nell’essere umano. Per gli orientali è un mezzo di conoscenza quel quadrato che porta verso se stessi, in cui si affronta la vita, senza retrocedere consapevoli di ciò a cui si va incontro. Lì non vi sono traditori, il campione di Muhammad Alì, va verso qualcosa che appartiene al suo profondo, è locus dell’onore e del sogno in un unico desiderio lì dove non vi sono traditori e dove “…tanto le mani non possono colpire ciò che gli occhi non possono vedere”.
Dott.ssa Francesca Mezzatesta
(Critico d’Arte e spettacolo)